La diagnosi di sordità, soprattutto nei bambini, è un processo complesso che coinvolge numerose figure professionali e che necessita della massima collaborazione da parte della famiglia
La sordità nella maggior parte dei casi non è associata a malformazioni visibili, quindi se la persona che ne è affetta non manifesta dichiaratamente le sue difficoltà può essere molto difficile arrivare ad una diagnosi rapida e precisa.
Fortunatamente, soprattutto negli ultimi decenni, sono aumentate le conoscenze e sono disponibili metodiche affidabili per l’identificazione del deficit uditivo.
La Toscana è stata una delle prime regioni italiane a rendere obbligatorio, nel 2007, lo screening uditivo neonatale, grazie anche all’impegno del prof Stefano Berrettini che ne ha curato le Linee Guida per l’esecuzione, recepite attualmente al livello nazionale: lo screening uditivo è stato infatti recentemente inserito nei LEA nazionali del 2017 (documento che indica i Livelli Essenziali di Assistenza, quindi le prestazioni garantite a tutti i cittadini).
Lo screening uditivo alla nascita, tramite metodica delle Otoemissioni Acustiche (esame in cui non è necessaria la collaborazione del bambino) consente di evidenziare le forme congenite di sordità, anche di grado lieve/medio. In caso di risultato Refer allo screening il neonato viene invitato ad effettuare accertamenti più approfonditi presso un centro audiologico di secondo e/o terzo livello (in Toscana sono associati alle Aziende Ospedaliero-Universitarie, fra cui Pisa)
La diagnosi di sordità nel neonato è un processo delicato che prevede la ripetizione delle otoemissioni e l’esecuzione di 2-3 Potenziali Evocati Acustici (ripetuti a 15-30 giorni di distanza). Oltre a ciò è importante effettuare valutazioni audiometriche infantili e logopediche, durante le quali personale specializzato nell’osservazione di piccoli pazienti valuta le risposte del bambino nei confronti di suoni e rumori.
In questa fase, di indubbio stress per il genitore, è importante la massima collaborazione da parte della famiglia: sia relativamente al rispetto degli appuntamenti previsti, sia per quel che riguarda il fornire il maggior numero di informazioni relative al comportamento uditivo del bambino.
La famiglia deve fiducia negli operatori di riferimento e nel fatto che questo delicato periodo non è una perdita di tempo, ma un primo importante tassello del percorso riabilitativo.
La possibilità di arrivare a una diagnosi precisa di sordità congenita entro i primi 3 mesi di vita ha radicalmente modificato le prospettive di recupero dei bambini. Precedentemente all’introduzione dello screening neonatale la diagnosi di sordità grave/profonda avveniva in media fra i 10 e i 24 mesi, e in caso di forme medie anche intorno ai 3-4 anni, se non addirittura all’ingresso della scuola elementare. Il ritardo diagnostico implicava conseguenze sullo sviluppo linguistico, cognitivo e relazionale del bambino, che dovevano essere poi affrontate attraverso percorsi riabilitativi lunghi e faticosi, con risultati spesso non ottimali.
Ci sono casi di bambini che alla nascita hanno un udito normale (e quindi non vengono individuati dallo screening neonatale), ma che poi per vari motivi (spesso di natura genetica) sviluppano una sordità. In questi casi il ruolo fondamentale nell’avvio del processo di diagnosi spetta al Pediatra di Famiglia, che durante il bilanci di salute raccoglie informazioni sui comportamenti uditivi del bambino e sul suo sviluppo linguistico. Intorno ai 9 mesi è previsto che il pediatra effettui un test di screening uditivo (Boel Test), a seguito del quale è possibile che il bambino venga inviato ad un centro audiologico per ulteriori approfondimenti. Anche in questo caso è importante che la famiglia non sottovaluti le indicazioni del pediatra e effettui rapidamente gli accertamenti consigliati.